I PERCORSI

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“L’altra unità”

“Percorso storico naturalistico alla scoperta della storia del risorgimento lucano e della questione meridionale”.

“Sulle tracce del sacro”

“Luogo suggestivo e incontaminato è quello del vulture, tra la natura selvaggia ergono rovine di antiche chiese…

“Le vie del Vino”

“Il percorso mette in rete l’antico e il moderno, partendo dalla Cultura contadina, passando per i luoghi storici dell’invecchiamento…

“L’ALTRA UNITà”

“Percorso storico naturalistico alla scoperta della storia del risorgimento lucano e della questione meridionale”.

Ex carcere Borbonico – Museo del Brigantaggio post unitario (partenza) 

“La fine del 1700 è caratterizzato da numerosi atti di brigantaggio che turbano la sicurezza delle campagne del Vulture. Fanno eco le imprese del famigerato Angiolillo (Angelo del Duca) e dei fratelli Bufaletto (Pasquale e Vito Giordano) e Maccapane (Tommaso Grosso). È solo a seguito dell’ unificazione italiana che si sviluppò quel brigantaggio a risonanza nazionale con le gesta di Carmine Crocco e la sua banda di briganti, di cui è allestita la mostra permanente “La Parata dei Briganti” ed il museo virtuale sul Brigantaggio, all’interno del complesso dell’Ex Grancia-Ex Carcere di Rionero recuperato e restaurato dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Basilicata e dal Comune di Rionero”.

“il Palazzo della famiglia Fortunato, oggi di proprietà comunale. All’interno si trovano: la Biblioteca Comunale con un polo museale, una pinacoteca moderna, l’archivio fotografico moderno e il Museo della Civiltà dell’Aglianico. Il piano superiore è dedicato alla Biblioteca Comunale Giustino Fortunato, fiore all’occhiello della Basilicata, che conserva, oltre il normale patrimonio librario moderno, gli scaffali e i libri originali di Giustino Fortunato e della sua famiglia. Il patrimonio librario oggi è stimato in circa 30000 volumi. Ristrutturato dopo il terremoto del 1980, ha ripreso il suo antico splendore imponendosi come ricercata meta turistica e culturale. È punto di riferimento di studenti, studiosi e ricercatori del meridionalismo”.

“Nella zona dei laghi, tra un ricco patrimonio boschivo di castagneti e cerri, si trova la Badia di San Michele Arcangelo, costruita nel 1600 dai frati benedettini su una grotta naturale nella quale, secondo la leggenda, apparve San Michele Arcangelo. Da visitare assolutamente: i bellissimi affreschi di epoca bizantina e medievale, di recente ristrutturati e raffiguranti la Madonna col Bambino tra sei apostoli, tre per lato. Nelle vicinanze dell’altare, a sinistra, è collocata la statua di San Michele risalente al 1775. Uscendo dall’Abbazia, a sinistra, si trova un “belvedere” rivolto verso i Laghi, che sono nell’area sottostante come due “occhi aperti sul mondo” e immersi in una natura bella e incontaminata. Un’altra testimonianza tangibile della rilevanza storico-culturale dei Laghi di Monticchio è data dai ruderi dell’Abbazia di Sant’Ippolito abitata tra l’XI il XII secolo dai benedettini rifugiatisi per osteggiare la Chiesa di Bisanzio. Oggi luogo utilizzato per scopi culturali e artistici.

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“Sulle tracce del sacro”

“Luogo suggestivo e incontaminato è quello del vulture, tra la natura selvaggia ergono rovine di antiche chiese, che in passato hanno dominato l’intero territorio, tra questi paesaggi si raccontano storie e leggende di uomini e la pietas popolare trova salde fondamenta”.

“È situata tra i due laghi. Il suo impianto, riferibile al X secolo, è basiliano. A quest’epoca è da riferire la chiesa, con abside trilobata e atrio sul quale si innesta la torre campanaria. I benedettini nell’XI secolo edificarono un secondo luogo di culto (la struttura absidata tra presbiterio e atrio) e nel XIII secolo una terza struttura ecclesiastica: la chiesa a navata unica che s’innesta verticalmente sulla torre campanaria. Il terremoto del 1456 distrusse gran parte dell’Abbazia che costrinse i benedettini ad abbandonarla per andare ad occupare l’antico sito della laura basiliana, la rupe sul Lago Piccolo. È probabile che l’abbazia fosse arrivata ad occupare l’intero istmo tra i due laghi. Oggi, grazie a nuovi lavori, lo scavo è stato ampliato e sono state portate alla luce nuove testimonianze. È stata anche ricostruita, quasi del tutto, la torre campanaria”.

“L’Abbazia di San Michele Arcangelo è un’abbazia che sorge a Monticchio, la cui costruzione risale all’VIII secolo d.C., intorno ad una grotta abitata da monaci basiliani. Fu eretta su una grotta scavata nel tufo, nei pressi della quale sono stati ritrovati depositi votivi risalenti al IV-III secolo a.C. L’abbazia passò poi ai benedettini (che la abbandonarono nel 1456), ai cappuccini (che fondarono una biblioteca e un lanificio) e, nel 1782 all’ordine militare costantiniano, che ne fu proprietario fino al 1866. L’intero complesso è costituito da un convento a più piani, una chiesa settecentesca e la cappella di San Michele arcangelo. La Grotta dell’Angelo dedicata a San Michele è adornata da affreschi risalenti alla metà dell’XI secolo ed era il luogo dove si riunivano in preghiera i monaci italo-greci che anticamente abitavano la zona. Da qui è possibile avere un suggestivo panorama dei laghi di Monticchio”.

“Le sue origini sono ignote; eretta dai benedettini sulle rovine della chiesa di Sant’Angelo degli Eremiti, più volte ristrutturata, è composta da un’unica navata coperta da tre piccole campate. Si trova, sotto un arco a ogiva, il tabernacolo della Madonna del Carmelo, protettrice della città. Vi si conservano trentatré tele del XVIII secolo. All’esterno della chiesa si trova una lapide che ricorda l’incontro lì avvenuto il 1° aprile 1502 fra Ludovico D’Armagnac, duca di Nemours, e Consalvo Fernandez di Cordova, comandanti degli eserciti francesi e spagnoli, per la spartizione del territorio italiano. La chiesa conserva buone tele di scuola napoletana dei secoli XVII e XVIII, restaurate dalla Sovrintendenza alle Belle Arti di Matera, un pregevole organo ed un crocifisso ligneo, anch’essi del XVIII secolo, ed un ostensorio, dono del vescovo di Melfi, mons. Sellini, nella sua visita alla chiesa nel 1853”.

“Il percorso mette in rete l’antico e il moderno, partendo dalla Cultura contadina, passando per i luoghi storici dell’invecchiamento, si passa ad uno dei prodotti principe del Vulture, l’aglianico. Tanto decantato da Orazio Flacco e tanto apprezzato da i sovrani Italici, questo vino ci porta alla scoperta di luoghi magici”.

Museo della Civiltà Contadina e Centro della Civiltà dell’Aglianico (Partenza)

“Risale al 2004 e consiste in una collezione civica composta da donazioni private. È allocata nelle ex scuderie del Palazzo Fortunato ed è suddivisa in tre sezioni. Il visitatore rivive attraverso gli strumenti originali, la vita contadina e la vita quotidiana di un tempo degli abitanti del Vulture. Si possono ammirare gli attrezzi per la cantina, per il lavoro nei campi e la mietitura, per la produzione del vino, le unità di misura, e tanti altri strumenti semplici ed essenziali per l’uomo”.

Cantine Storiche di Rionero

“Una parte importante del progetto è anche nella valorizzazione delle tradizioni culturali del territorio, a partire dal recupero delle antiche grotte, risalenti al 1600 ed utilizzate dai Padri Francescani. Questi antri naturali, scavati nel tufo vulcanico, grazie ad un perfetto e naturale equilibrio di temperatura, umidità costante e ventilazione, garantiscono condizioni eccezionali di affinamento del vino, che vi riposa all’interno di barriques di rovere francese.Tutte collegate tra loro, le grotte si sviluppano nel sottosuolo del paese creando un percorso sotterraneo di grande suggestione e si irradiano da una piccola e deliziosa piazzetta, chiamata Facìle, tipica dell’architettura locale. Il Facìle, con la sua caratteristica forma a ferro di cavallo conseguente allo scavo delle grotte nel tufo, raccoglieva le acque piovane: era di fatto una specie di conca, una sorta di “bacìle”, termine da cui deriverebbe, per l’appunto, l’espressione dialettale “Facìle”.

Cantine moderne

“Visita ad una della cantine moderne di produzione; l’economia della città si regge sul commercio, sull’agricoltura e sul terziario, pur non manca qualche iniziativa industriale. Interessante è la commercializzazione del vino molto conosciuto come l’Aglianico del Vulture, la cui prima apparizione risale a 2500 anni fa. Chiamato prima “ellenico” perché importato in Lucania dai Greci nel 1971 ha ottenuto il marchio di vino DOC con decreto ministeriale, il marchio DOP nel 2005. L’Aglianico del Vulture è definito “frutto benedetto rosso come il sangue cupo che batte nelle vene, rosso passione di uomini e donne… frutto benedetto che ammalia e stordisce. Si chiama Aglianico e il suo sapore è potente… ”. Il colore rosso rubino, con riflessi violacei tendenti all’arancione, è profumo intenso ed ha una gradazione compresa tra 12° e 13.5°. Viene denominato vecchio se ha almeno tre anni d’invecchiamento, riserva se ha almeno cinque anni d’invecchiamento”.

Tra le case signorili di Rionero, quella sottoposta a vincolo dei Beni Culturali è il Palazzo della famiglia Fortunato.

È il 1728 quando Carmelio, capostipite dei Fortunato, proveniente da Giffoni Seicasali, un paese in provincia di Salerno, si stabilì a Rionero in Vulture e apre il Palazzo che prenderà il nome dei suoi proprietari.

Il Palazzo, ubicato nella piazza principale del paese, oggi Piazza Giustino Fortunato, fu ampliato tra la fine del 1700 e l’inizio del 1800 da Pasquale Fortunato, poi abbellito da suo figlio Anselmo. Qui sostò l’11 aprile 1807 il re Giuseppe Bonaparte durante un suo viaggio da Venosa a Valva e vi pernottò la sera del 5 ottobre 1846 il re Ferdinando di Borbone che da Potenza si recava a Melfi; ma molti furono i personaggi illustri che ivi soggiornarono: Zanardelli, Croce, Salvemini, Nitti…

Il terremoto del 14 agosto 1851 sconquassò il palazzo che fu riparato da Pasquale Fortunato juniore, padre di otto figli, tra i quali Giustino ed Ernesto. Quest’ultimo, 32 anni dopo, lo fece ancora restaurare, con la costruzione della torretta che si affaccia sulla piazza.

La struttura del Palazzo poggia su una superficie di circa 5.500 mq, composta di 45 locali, di cui 19 al primo piano e 25 a piano terra ed evidenzia una forma ad Elle con l’ingresso principale sul lato maggiore, in via Garibaldi. Attraverso un androne si accede in un grande cortile dal quale, tramite una scalinata, si sale al bellissimo quanto vasto giardino.

Acquistato dall’Amministrazione di Rionero in Vulture nel 1970, il palazzo è oggi sede della Biblioteca comunale, luogo privilegiato delle varie manifestazioni culturali.

L’attuale biblioteca risulta dalla fusione della biblioteca civica, dotata di materiale soprattutto “moderno”, con il fondo librario presente nel Palazzo Fortunato al momento dell’acquisto di quest’ultimo da parte del comune di Rionero.

Il Fondo Antico, stimato in circa 11.000 libri, appartenuto alla Famiglia Fortunato, è suddiviso in:

  • Fondo famiglia Fortunato con 51 cinquecentine, 69 libri del XVII secolo, 387 del XVIII secolo e 5804 del XIX secolo;
  • Fondo Giustino Fortunato con circa 4700 libri pubblicati tra l’800 ed i primi del ‘900.

Nel corso degli anni, accanto a tale “summa divisio”, si sono aggiunte varie sezioni specifiche e specialistiche: la Sezione Basilicata da un lato e la Sezione Ragazzi dall’altro.

La Biblioteca è dotata anche di un’emeroteca antica e moderna.

l’attività eruttiva del vulcano Vulture, avvenuta tra 800.000 e 200.000 anni fa, ha modellato profondamente il territorio circostante: le lave eruttate ostruirono le valli, ostacolando il deflusso delle acque e determinando la formazione di grandi bacini lacustri presso i quali sorsero i primi insediamenti dell’uomo preistorico. La vegetazione del Vulture è molto varia: le formazioni forestali principali sono costituite da castagneti, cerreti, faggeti, lecceti, olmi, aceri, noci, noccioli, carpini, tigli, sorbi, sambuchi, peri e meli selvatici, tassi, frassini, ontani, pioppi, salici, e da un sottobosco intessuto di ginestra, vitalba, edera, corniolo, rosa canina, pungitopo e agrifoglio e punteggiato da narcisi, viole, iris, orchidee selvatiche e ciclamini. Degna di nota è la presenza della ninfea bianca che cresce spontanea nel Lago Grande di Monticchio e riveste un’importanza eccezionale per l’equilibrio naturale del lago stesso.

Ma il territorio del Vulture offre molte possibilità di sopravvivenza anche a numerose specie animali, tra i quali la Brahamaea Europaea, che vive solamente in una zona del Vulture molto ristretta, denominata Grotticelle di Monticchio, attualmente istituita in Riserva Naturale con l’unico provvedimento legislativo promulgato in tutta Italia per la difesa di un insetto.

La presenza di specie endemiche, rare e protette ha fatto sì che nascesse un Parco Regionale al fine di conservare questo ambiente naturale di incommensurabile valore.

Convento di S. Ippolito

Accanto ai Basiliani, si diffuse nella zona del Vulture anche la presenza dei Benedettini. Spingendosi sull’istmo di terra in mezzo ai due laghi, ci si può imbattere nei ruderi del convento di S. Ippolito, fondato da questi monaci. Il complesso costituisce un impianto architettonico ed archeologico di eccezionale interesse, oggetto ancora oggi di studi e ricerche condotte da parte della Soprintendenza ai Beni Archeologici della Basilicata.

Sicuramente il sito fu abitato tra l’XI e il XII secolo, dai monaci benedettini, insediati nella regione del Vulture per osteggiare l’influsso della chiesa di Bisanzio e che proprio sull’istmo dei laghi costruirono la chiesa e il convento intestati prima a San Pietro, in opposizione a San Basilio, e successivamente a San Ippolito, quello stesso convento di cui oggi rimangono solo pochi ruderi. Ma a seguito degli scavi effettuati agli inizi del 1960, furono rinvenuti una serie di capitelli figurati che rivelarono una serie di strutture impostate ad una quota di circa due metri inferiori al piano di calpestio della chiesa. Si scoprì così, attraverso un ampio scavo della zona, l’esistenza di un vero impianto architettonico di epoca alto-medievale, costituito dalla sagoma di un tricorno innestato su un corpo rettangolare diviso in due campate di cinque pilastri di forma rettangolare. Tutt’ora sono in corso scavi per portare alla luce tutti gli elementi originari del primitivo insediamento che, per il loro pregio architettonico e testimoniale, fanno sì che l’area in questione venga annoverata tra quelle dell’Italia meridionale che suscitano maggiore interesse per la presenza di significative e valide testimonianze di arte paleocristiana.

Riflessa nelle acque del lago piccolo, la Badia di San Michele appare come uno squarcio di candore abbagliante tra gli alberi del bosco e racconta antiche vicende di uomini e di momenti tristi e lieti di una storia secolare. Una storia che comincia intorno al decimo secolo, con l’arrivo nella zona del Vulture dei monaci Basiliani che, per sfuggire alle lotte iconoclaste, provocate nel 726 dal decreto contro il culto delle immagini emanato da Leone III l’Isaurico, si erano rifugiati nella zona adriatica dell’Italia meridionale, penetrando anche nelle zone più interne fino a quella del Vulture. Essi qui insediarono uno dei centri monastici di maggiore rilievo, al punto da destare nei secolo l’interesse di Papi e Imperatori. Furono, inoltre, gli artefici della diffusione del culto della Vergine e del Figliuolo Redentore nell’area del Vulture.

Verso la fine de ‘500, la Badia di San Michele, ricevuta in commenda da quel cardinale Borromeo (reso famoso dal Manzoni che ne parla nel suo “Promessi Sposi”), fu abitata dai frati Cappuccini. Proprio al cardinale Borromeo e ai consigli del suo precettore, Filippo Neri, si deve una rinascita della Badia dopo decenni di decadenza.

Soppresso il convento nel 1866, l’Abbazia divenne proprietà demaniale.

La maestosa costruzione è stata oggetto, negli anni, di lunghi lavori di restauro che l’hanno riportata alle sue semplici forme originarie, eliminandone le decorazioni e gli stucchi barocchi risalenti ai primi decenni del 1900. Essa è costituita dal complesso conventuale a più piani, dalla chiesa settecentesca e dall’antichissima e millenaria cappelletta di San Michele che custodisce ancora gli affreschi bizantini con le immagini di Cristo Benedicente fra la Madonna e San Giovanni Battista, nella parete di fondo, e di sei apostoli in piedi, tre per ogni parete laterale; infine, sulla volta, c’è un’aquila nimbata con un rotolo nel becco ricurvo.

Qui, durante la dominazione straniera, il 1º aprile del 1502 un capitano francese (Ludovico D’Armagnac duca di Nemours) e un capitano spagnolo (Consalvo Fernandez de Cordova) si incontrarono, in veste diplomatica, per decidere sulla spartizione del Regno di Napoli; tuttavia non si trovò nessun accordo. A memoria di questo fatto, 400 anni dopo, il 1º aprile 1902, Giustino Fortunato fece apporre sulla facciata della Chiesa una lapide commemorativa.

La chiesa di Sant’Antonio Abate, che fino al 1841 fu adibita anche a cimitero con una fossa comune, in seguito a diversi terremoti ha subito interventi di riparazione e, da ultimo, rimaneggiamenti, pur non variando la sua struttura originaria.

Restituita al culto dei fedeli e alla custodia della Confraternita della Beata Vergine del Carmelo dal vescovo mons. Gianfranco Todisco il 4 giugno 2003, la chiesa risulta essere composta da un’unica navata coperta da tre piccole volte a croce e chiusa in fondo da un arco a sesto acuto, sotto cui si eleva il tabernacolo dell’antica protettrice del paese: la Madonna del Carmelo. Comprende quadri della scuola pittorica napoletana del 1700 e un organo a canne e un crocifisso ligneo, anch’essi del XVIII secolo.

Suggestive dell’antica chiesetta alcune sottili ed eleganti finestrelle ad arco tondo identiche a quelle della chiesa incompiuta della Trinità di Venosa e della torre della Badia di S. Ippolito di Monticchio.

“si presenta rubino con riflessi granati. Al naso evidenzia profumi intensi di frutti di bosco rossi (lamponi) e speziature dolci (liquirizia e tabacco). Il sapore è pieno, morbido, avvolgente, un gran bel vino, ottimo connubio tra tradizione e innovazione”.

La zona di Rionero e del Vulture si distingue per la produzione del vino Aglianico D.O.C.

 L’Aglianico (ulianum, hellenicum, eleanicum) è un vitigno greco importato sulle colline del Vulture dai monaci dell’ordine basiliano, milizia pretoria della chiesa e dell’Impero di Costantinopoli, si coltiva sul terreno vulcanico tra i duecento e i settecento metri d’altitudine e raggiunge una gradazione alcolica di 12,5/13°. La resa delle uve in vino non deve essere superiore al settanta per cento e può essere usato ottimamente per tutto il pasto che non sia di pesce.